16 MAGGIO 1976: LASSU’ QUALCUNO TI AMA

 

Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto in trasferta”

Con queste parole il compianto Indro Montanelli salutò la squadra italiana più forte di tutti i tempi: il Grande Torino, proprio in quel tragico 4 Maggio 1949 che ha ormai già varcato i confini della storia catapultandosi nella leggenda, non solo sportiva.

27 anni più tardi avvenne però il miracolo:  quella squadra ritornò, anche solo per una stagione, a vestire la maglia granata, con protagonisti di un’altra fisionomia , certo, ma con lo stesso gioco aggressivo e tracimante e con la stessa capacità di soffrire che solo chi ha vissuto e vive in maniera insita alla propria pelle quel colore può comprendere.

Fu un ritorno improvviso, contro ogni pronostico, ma servì a ridare ossigeno ai polmoni di un intero popolo che da quasi tre decadi aveva pianto solo lacrime di tristezza, troppo legato com’era a “Quelli la “.

“Quelli la”, così alcuni storici tifosi, che ne avevano vissuto in prima persona le gesta epiche, chiamavano il grande Torino, troppo  dolore e troppo strazio procurava il ricordo di quella grande squadra che aveva riempito il petto d’orgoglio di una nazione intera, tanto da renderla innominabile fino a che non ne fosse arrivata un’altra , se non alla pari, almeno degna di essere chiamata Toro.

Questa laica resurrezione avvenne in uno dei periodi più plumbei della storia cittadina, come se Valentino ed i suoi compagni dall’alto avessero voluto regalare un ultimo “quarto d’ora granata” per invitare la città a rimboccarsi le maniche , come faceva il capitano, per uscire dalla situazione drammatica degli anni di piombo, che in quella fase storica stavano raggiungendo , nel capoluogo piemontese, il culmine della violenza.

Fu così che, in nella stagione 75-76, Bagicalupo divenne Castellini, Rigamonti assunse le fattezze di Salvadori così come fecero Grezar , Loik e Castigliano che ripresero il possesso del centrocampo con i nomi di Zaccarelli , Pecci e Patrizio Sala.

Sulla fascia,invece, Menti aveva abbandonato il suo look composto ed ordinato a discapito del baffo appuntito e furbo di Claudio Sala, ma lo si poteva comunque riconoscere per gli  Swarovski che calciava verso l’area per i compagni d’attacco Pulici e Graziani i quali indossavano le maglie 9 ed 11 di Ossola e Gabetto.

Valentino Mazzola non era in campo, nessun giocatore poteva essere a lui accumunato, troppa la forza, troppo il carisma, uomini e giocatori così capitano una sola volta nella storia, anche in società gloriose come il Torino.

Il capitano però non era del tutto assente, lo si poteva ritrovare in tutti i componenti della squadra: nella grinta di Graziani, nell’istinto del gol di Pulici , nelle geometrie di Pecci , nella saggezza tattica di Zaccarelli, nella tecnica di Claudio Sala.

Questo legame con il passato unito al moderno modo di intendere il calcio di Gigi Radice, allenatore giovane ma dalle idee già molto chiare, creò la giusta alchimia che consentì alla squadra di compiere una rimonta inenarrabile sugli odiati cugini juventini.

L’allenatore Gigi Radice infatti introdusse nel campionato italiano un modo di giocare che era apparso in quegli anni, mostrato in maniera quasi perfetta dalla stupenda “Arancia Meccania” olandese nel mondiale ’74.

Quel “quasi” però a Radice, perfezionista come era, non piaceva, riteneva infatti che i principi olandesi fossero giusti ma fin troppo belli per raggiungere la vittoria, decidendo così di adattarli ad uno schema figlio di quella grande Olanda ma con italiche caratteristiche.

Questa mescolanza tra l’intenso odore dei tulipani e il fragrante sapore del Bonarda portò la squadra a combattere per le posizioni di vertice fin da subito, scalzando in classifica avversarie molto più quotate quali Napoli, Inter e Milan, riuscendo inoltre a vincere il derby con la Juventus per 2-0.

Dopo quella partita iniziò ,con la “Vecchia signora “, un giro sulle montagne russe che perdurò per tutta la durata del campionato. La prima tappa fu la conquista della Juve del titolo d’inverno a 3 punti dal Toro che dopo un inizio non esaltante aveva preso un buon ritmo.

Il fattaccio avvenne però il 29 febbraio, in quel preciso giorno infatti la Juve vince a Cagliari ed il Toro perde a Milano con l’Inter, il distacco diviene quasi abissale, -5 punti dalla vetta (i punti assegnati per la vittoria erano all’epoca 2).

Radice cercò di ricompattare il gruppo, sapendo perfettamente che anche la squadra avversaria avrebbe dovuto concedere qualcosa invitando i suoi a non rassegnarsi, aspettando che i tempi siano maturi per recuperare punti.

Il rifiorire delle speranze granata si manifestò proprio il primo giorno di primavera, il 21 Marzo infatti la sconfitta della Juve a Cesena per 2-1 consente al Torino di presentarsi al derby della settimana successiva a soli tre punti di distacco.

La tensione il giorno della partita è altissima, come in tutti i derby che si rispettino, il Toro parte subito alla grande e alla fine del primo tempo è già in vantaggio per 2-0.

Le squadre rientrano negli spogliatoi quando nel sottopasso il portiere Castellini viene colpito da un petardo lanciato dal settore dei tifosi juventini. Sono attimi di grande spavento, il numero uno granata perde conoscenza per qualche istante ma riesce a rientrare in campo.

Il secondo tempo viene comunque giocato, la Juve accorcia anche le distanze, ma la partita la vince il Torino per 2-1, divenuto poi 2-0 grazie alla sentenza del giudice sportivo che condanna la Juve per il fatto increscioso.

Ora il punto di distacco è solamente uno, i bianconeri resistono fino al 4 Aprile quando nella giornata di serie A va in scena lo scontro Milano-Torino: la Juve è impegnata a San Siro contro l’Inter mentre il Torino ospita al comunale il Milan.

Molte volte le sorti di una stagione vengono decise in un minuto, quel giorno quel minuto è il numero 80.

Nello stesso istante infatti a Milano viene assegnato un rigore all’Inter ,trasformato da Bertini, mentre a Torino il giovane attaccante di riserva ,Garritano, sigilla la vittoria siglando il due a zero granata.

E’ un tripudio, la “Maratona “, cuore del tifo, e tutti i tifosi quasi sono in difficoltà, non sapendo bene per quale motivo esultare.  Nasce così un boato pazzesco simile a quello che il Filadelfia creava quando, dopo il suono della tromba, tutto il pubblico iniziava a battere i piedi dando il via al “quarto d’ora granata”.

Il tanto sospirato sorpasso è avvenuto, ora restano 4 partite per mantenere il vantaggio, che alla penultima si amplifica diventando di due punti.

Arriviamo così al 16 maggio, il Torino se la vede con il Cesena , sorpresa del campionato, mentre la Juve va sul capo del Perugia già salvo. E’ una domenica fantastica ,il cielo è azzurro e limpido, il sole riscalda la città che fin dalle prime luci del mattino si riscopre completamente granata, tutte le case sono imbandierate e a tutti i lampioni sono state affisse delle coccarde con l’effige del Toro.

Molti passano a tributare un saluto a Gigi Meroni in Corso  Umberto, luogo dove la farfalla granata smise di battere le ali. Tutti ma proprio tutti, invece, lanciano uno sguardo al colle di Superga.

La partita ha inizio. In campo la paura si taglia a fette mentre invece sugli spalti il tifo va avanti ad oltranza.  I primi tempi, su entrambi  i campi, si concludono sullo 0-0, quella stagione è destinata a diventare quella degli “attimi” che decidono il destino.

E’ il 55’ quando arriva la notizia che il Perugia è passato in vantaggio, i cori della Maratona vengono spezzati da un immenso urlo che sprona i giocatori in campo, tanto da consentire al Torino di passare in vantaggio cinque minuti dopo con un gol di testa di Pulici servito come al solito da Sala.

Tutto sembra concludersi nel migliore dei modi , finalmente la tanto agognata vittoria sta per pararsi di fronte ad un intero ambiente che negli anni ha sofferto le pene dell’inferno, non solo in senso metaforico.

Ma stiamo parlando del Torino e da che mondo è mondo il Torino deve soffrire sempre fino all’ ultimo; è una caratteristica che i tifosi portano dentro, anche se ne farebbero volentieri a meno, sapendo che è proprio questa prerogativa a rendere il granata un colore così leggendario.

La sofferenza inizia al 70’ ed in pieno stile Toro è proprio il Toro ad infliggersela, un lancio innocuo nell’area granata viene deviato di testa da Mozzini che non si intende con Castellini ed insacca nella propria porta, 1-1.

Cala il gelo su Torino, le nuvole tornano ad addensarsi nei pensieri dei tifosi e sono nuvole plumbee almeno quanto quelle di quel maledettissimo pomeriggio di maggio, da Perugia non arrivano più notizie e si teme il peggio.

Il fischio dell’arbitro sancisce la fine ma per qualche minuto sembra di vedere un normale finale di gara, Radice intervistato a caldo è furente per non aver vinto la partita e gli altri giocatori si guardano un po’ smarriti. Poco dopo arriva l’ufficialità : Perugia –Juventus 1-0, lo scudetto è finalmente granata, ora la festa può cominciare.

L’emozione è più che palpabile, tutti dedicano la vittoria al popolo torinista , ma il pensiero più straziante è quello di Castellini che in lacrime con un urlo che gli si strozza in gola dice:”sono felice per il pubblico, questo è per loro”.

 Le lacrime si sprecano e nei bar di Torino limitrofi allo stadio si sprecano anche le bottiglie di vino.

E’ baldoria pura, è felicità senza freni dopo essersi liberati da un tappo allo stomaco e alla vita che durava da 27 anni, 27, lo stesso numero da cui era composta la delegazione del Torino tragicamente scomparsa a Superga( le vittime furono 31 compresi i componenti dell’equipaggio).

Nonostante la grande festa tutti sanno che c’è da chiudere un cerchio, tutti sanno dove bisogna andare.

Parte così una fila interminabile di auto verso la basilica di Superga, bisogna festeggiare con “quelli la”.  Ogni tifoso arrivato al colle recita quello che ormai non è solo un elenco, è una preghiera laica che inizia con Bacicalupo e termina con Subert.

Molti quel giorno non tornano nemmeno a casa e restano li a dormire ,tra questi vi è anche Gianpaolo Ormezzano, storica penna del giornalismo italiano, che poi si reca al cimitero per raccontare tutto al padre ed in serata passa in redazione a Tuttosport per consegnare il titolo in prima pagina del giorno dopo.

E’ un titolo semplice ma allo stesso tempo è un pensiero che tutti i tifosi del Torino e del calcio in generale non possono non aver pensato in quella giornata

TORO LASSU’ QUALCUNO TI AMA.

subbu

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