PARADISO AMARO

,“Vincere non è importante: è la sola cosa che conta”, recita un vecchio mantra calcistico, forse questa frase è vera perché spesso la carriera di un giocatore, di qualsiasi sport, viene valutata dal numero di titoli vinti, dalle coppe e trofei racimolati e così vale anche per le società che con i successi aumentano il loro blasone.
Tutto vero, c’è però un dettaglio non trascurabile che spesso, di primo acchito, non viene valutato e non di rado viene celato dagli atleti stessi per nascondere un certo narcisismo auto contemplativo: la vittoria uno se la porta addosso per sempre, che tu vinca l’ NBA o il campionato della più infima categoria amatoriale, il titolo di “campione” non è negoziabile, rimane imperterrito negli anni.
O forse no, anzi, decisamente no; per informazioni ulteriori chiedere ai livornesi e alla rosa della squadra di basket cittadina , la Libertas, che nel 1989 vissero la giornata più folle della storia sportiva nazionale.
È il 27 Maggio e a Livorno si gioca, per la prima volta nella storia, gara 5 delle finali che assegnano il campionato.
Lo scontro vede affrontarsi due squadre completamente diverse, da una parte la fortissima Olimpia Milano dall’altra la piccola realtà in ascesa dei padroni di casa della Libertas Livorno.
L’Olimpia punta forte su Mike D’Antonio in regia, sullo strapotere tecnico e fisico di Dino Meneghin, sulla fantasia oltreoceanica di Bob Mcadoo, sul dinamismo e il sangue di ghiaccio di Roberto Premier. Livorno da parte sua si è costruita una buonissima rosa che ha come alfiere un giocatore che vive i colori gialloblu come uno della gradinata, il play maker Alessandro Fantozzi che, con l’ala americana Wendell Alexis e la guardia Andrea Forti, vede vicino il sogno di uno scudetto che sarebbe l ‘apice per il movimento cestistico Livornese esploso negli anni ottanta.
In quella calda giornata di fine maggio sono 5000 i livornesi che si presentano al Pala Macchia con il biglietto per assistere alla partita, almeno quella sarebbe l’intenzione, in realtà ,anche se ancora non lo sanno, in mano hanno un documento di viaggio per il diretto Paradiso-Inferno.
Ma andiamo con ordine, la partita è una sostanziale rappresentazione della serie, regna l ‘equilibrio, tant’è che quando mancano trentatré secondi alla fine il risultato è di 85 a 86 per L’Olimpia che ha anche la palla in mano con D’Antoni.
L’Italio-americano gioca col cronometro con il chiaro intento di usufruire di tutto il tempo necessario per concludere l’azione, così va sulla linea laterale, analizza la situazione e quando mancano pochi secondi ,al temine dei 24, guadagna il centro del campo scaricando su Premier che da solo ha in mano la palla della vittoria.
Ora è necessario fare un piccolo appunto, Roberto Premier non è un giocatore qualsiasi, è forse uno dei migliori tiratori transitati nella storia della franchigia meneghina e quello è un tiro che non sbaglia quasi mai.
“Quasi”, appunto, sì perché “l’Ariete” quel tiro lo manda sul primo ferro, dando il la ad un domino cervellotico di eventi che il destino sembrava aver preparato da sempre senza che nessuno se ne fosse reso conto.
Quando Alexis prende il rimbalzo per la Libertas mancano 6 secondi al temine, l’americano alza a la testa e serve Fantozzi che si è meravigliosamente allargato per aprire il campo al contropiede, il play compie due palleggi e passa la palla ad Alberto Forti che si trova sotto canestro.
La guardia non ha quasi il tempo di tirare, subito viene atterrata dall’onda d’urto di un armadio a due ante che risponde al nome di Dino Meneghin, c’è ancora, però, quel dannatissimo e maledettisimo “quasi”.
Il tiro, dalle mani di Forti, parte, la palla danza per pochi centesimi di secondo sul ferro e poi muove la retina, è canestro.
Il pubblico di Livorno invade il campo, anche se nessuno ha ben capito se il canestro sia arrivato prima o dopo la fine.
Poi da qualche parte arriva l’ufficialità, Livorno è campione d’Italia ed esplode la festa.
Alexis sale sul canestro, Fantozzi è completamente impazzito così come lo è un tifoso Livornese che nel parapiglia generale ha la “brillante” idea di colpire Premier in testa.
Ne nasce una rissa da saloon che solo due dirigenti della Libertas riescono a sedare, scortando il milanese che, abbandonando il campo, mostra due “medi” al pubblico Livornese che dimostra di non gradire.
La festa prosegue anche negli spogliatoi, si stappano bottiglie e persino la RAI ,in diretta nazionale, annuncia la notizia ma c’è qualcosa che non va.
Il coach Livornese, Alberto Bucci, è scuro in volto.
Entra nello spogliatoio e chiede a tutti di sedersi e calmarsi, i presenti pensano si tratti del discorso di rito che l’allenatore fa dopo ogni partita con congratulazioni per la vittoria ed il lavoro svolto ma questa volta non è così, dalla bocca di Bucci escono sei parole che sono peggio di una condanna all’ergastolo: ”ragazzi, non ce l’hanno dato buono “.
Il silenzio cala nello spogliatoio livornese così come in quello di Milano che si ritrova imbarazzata a festeggiare un titolo insperato. Intanto la notizia fai giro del palazzetto e le lacrime di gioia dei tifosi si trasformano in lacrime di rabbia e frustrazione, solo in quel momento capiscono di essere su quel treno maledetto, il viaggio è durato venti minuti e la causa sono pochi centesimi di Pallacanestro.
Nasce così il mito di Livorno Milano, nasce il caso sportivo che, ancora irrisolto, si trascina ormai da 25 anni, nascono molte cose ma una ,da quel giorno, comincia a morire :la Libertas.
Quasi intontita dal colpo preso la società non si rinviene e dopo solo due anni dalla finale è costretta alla fusione con i rivali cittadini della Pallacanestro Livorno per mantenersi in vita.
Le cose per il basket Livornese non saranno più come prima, tifosi e giocatori simbolo mal digeriranno la fusione allontanandosi dal pala Macchia, ripensando ,rassegnati, a ciò che sarebbe potuto essere, ripensando a quei venti minuti da campioni, a quei venti minuti di eternità strappati dalle mani in maniera crudele.
Perché la vittoria è così, non solo la devi afferrare, la devi anche tenere ben stretta per non fartela scappare via.
Pensandoci bene, però, la Libertas nella storia ci è entrata, magari dalla parte sbagliata, ma comunque c’è e sono sicuro che ,ancora oggi, se qualche ragazzino Livornese, con la passione per la palla a spicchi, chiede al nonno o al padre chi abbia vinto il campionato nel 1989, la risposta può essere solo una:” la Libertas” e dopo qualche secondo, con un filo di voce, un sussurro: ”per venti minuti”.

finale_scudetto

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