ALBERTO TARANTINI: BORN TO RUN

Ci sono alcuni esseri umani nel mondo cui il Padreterno ha donato una particolare caratteristica, la corsa. Sono individui nati per correre, correre sempre e corre più forte degli altri senza sosta, senza tregua spesso per scappare alla vita ed agli ostacoli che ci pone quotidianamente dietro ogni maledetto angolo che cerchiamo di varcare.
Queste persone particolari non si fermano, tirano dritto, fanno fatica, certo, ma a quegli ostacoli non ci pensano.

 Solo che a un certo punto si stancano e la vita, cinica e bara, torna a chiedere il conto di tutti quegli ostacoli saltati e allora via di nuovo nel moto incessante sempre alla massima velocità, sempre facendo una fatica immane per cercare di non essere come gli altri, per cercare di non farsi tirare giù dal vortice che prima o poi colpisce tutti.
Sono individui, persone. Sono dei tipi come Alberto Tarantini.
Alberto Tarantini nasce a Ezeiza nella provincia di Buenos Aires in Argentina, come gran parte dei bimbi della terra d’argento gioca a calcio ma ha qualcosa in più degli altri la fascia sinistra di competenza non è che la percorre, la ara letteralmente ed al doppio della velocità degli altri.
Per uno così non si possono che spalancare le porte di una delle squadre principali, arriva prima di tutte il Boca Juniors che se lo porta a casa con buona soddisfazione di papà che ha il cuore dipinto di “azur y amarillo”.
E’ proprio nelle giovanili che gli viene attribuito il soprannome di “conejo” per la folta chioma e i denti sporgenti nonché per quel suo tic che lo porta ad arricciare sempre il naso.
Tarantini non è solo un terzino molto dotato è anche figlio della sua epoca e l’Argentina di quegli anni non è proprio un gran posto in cui stare, il padre con il lavoro da poliziotto non riesce sempre a sostenere le spese enormi di cui una famiglia con sette figli necessita ed è forse proprio da qui che il piccolo Alberto inizia a correre per cercare di non farsi prendere dai problemi, per lasciarseli alle spalle.

Le avversità, però, in una famiglia povera sono sempre e costantemente in agguato e alcune volte si tramutano in veri e propri drammi.
La famiglia Tarantini perde, infatti, ben tre figli in brevissimo tempo, due praticamente alla nascita mentre uno incontra la morte nel modo più impensabile e assurdo ossia a causa di una banalissima operazione per la correzione delle orecchie a sventola.
Entrare in questo modo in contatto con la morte è qualcosa di terribile, difficile da descrivere se non ci si è passati almeno una volta nella vita, il padre è disperato e non sarà mai più lo stesso dopo l’avvenimento.
Alberto invece fa l’unica cosa in grado di fare: corre.
Corre più forte del dolore, più forte della disperazione, corre anche per il padre che seguendolo in giro per i campi e guardandolo coltivare la sua passione cerca, per quanto possibile, di lenire il dolore lancinante.
Alberto va e va veloce, a testa bassa, su e giù per quella fascia sinistra, unico lembo di terra in grado di dare stabilità alla sua vita turbolenta, e quando alza lo sguardo si ritrova alla Bombonera, con la maglia del Boca, realizzando il suo sogno e quello del padre.
A diciassette anni comincia la carriera professionistica del “Conejo” che entra anche nel giro della nazionale giovanile con cui partecipa nel ’75 al prestigioso torneo di Tolone che vede riunita la “creme della creme” del calcio giovanile mondiale.
L’Argentina è una nazionale forte e vince la competizione, Alberto torna a casa accolto dalle amorevoli braccia della famiglia, vede il padre felice come non succedeva da tempo.
Alberto è, però, anche molto stanco, è stato un torneo molto usurante ed il viaggio trans oceanico si fa sentire, il padre gli chiede di accompagnarlo da un amico che abita non molto lontano, lui rifiuta, concedendo la sua auto. Papà Tarantini però decide di fare quel tratto di strada a piedi e quando chiude la porta di casa, non lo sa, ma sarà l’ ultima volta che vedrà la sua famiglia.
Nel tratto di strada è colpito da un infarto, il cuore non ha retto a tutte le intemperie che ha dovuto attraversare e paradossalmente ha deciso di fermarsi nel giorno più felice.
Il fatto drammatico cambierà per sempre la vita del terzino argentino non solo a livello personale ma anche professionale, Alberto gioca da un paio di anni nel Boca ma gli stipendi sono quello che sono e la famiglia è rimasta ancora povera, così il ragazzo va dal presidente della società, lo storico Armando, chiedendogli di pagare le spese del funerale.
Il presidente acconsente a patto che il giocatore firmi una clausola di garanzia per la restituzione della somma prestata, per il conejo è un insulto troppo grande e, come farebbe una persona che per tutta la vita ha sempre corso, agisce d’istinto, lo prende a male parole e gli tira in faccia il denaro per di più pretende di vedere il suo contratto e una volta che se lo trova in mano, lo straccia davanti ai suoi occhi giurandogli che sarebbe diventato il suo incubo.
Tarantini giocherà per due anni senza contratto percependo una somma irrisoria, praticamente una specie di minimo salariale, ma l’onore del padre non poteva essere accumunato a nessun tipo di cifra.
Nel ‘77 la situazione diventa insostenibile e allora, dopo aver vinto la Libertadores, decide di allontanarsi dalla Boca ed è in questo momento che i ruoli si ribaltano; da adesso in poi è il presidente Armando a diventare il suo incubo peggiore.
Con una specie di accordo nazionale, infatti, non lo fa assumere da nessuna squadra argentina, una specie di embargo che costringe Alberto a fermarsi, solo che quella non è una stagione qualsiasi è la stagione che conduce dritta al mondiale 1978 che si svolgerà proprio in Argentina.
Per sua fortuna sulla panchina dell’Argentina siede un uomo con la “U” maiuscola, uno come lui, che risponde al nome Cesar Luis Menotti.

Menotti si affretta a precisare che per Tarantini nella sua nazionale ci sarà sempre posto e quando dirama le convocazioni per il torneo iridato, il nome del terzino è presente nonostante non sia in attività praticamente da un anno.
Il mondiale si concluderà in maniera trionfale con la vittoria Argentina e Tarantini passerà alla storia come l’unico giocatore senza squadra ad aver vinto la coppa del Mondo; ma non è per questo che la manifestazione verrà ricordata.
Più che per i gol di Kempes, più delle sgroppate di Tarantini o dei contrasti di Passarella quel mondiale è rimasto nell’immaginario collettivo come l’evento che diede lustro alla terribile dittatura di Videla che con quella vittoria si consacrò a livello internazionale con il tacito assenso delle forze democratiche occidentali.
Lo abbiamo già detto Tarantini è uno che nella vita non si è mai fermato di fronte a niente la maggior parte delle volte per la necessità di sopravvivere ma anche per un senso di moralità che in pochi nel mondo del calcio e non solo posso dire di possedere.
Nel periodo precedente al mondiale durante una visita di Videla alla squadra, Tarantini si fece personalmente carico di una richiesta riguardante la sorte di alcuni suoi amici “desaparecidos” e  in un’altra occasione negli spogliatoi, dopo una partita, scommise con il compagno Passarella che avrebbe stretto la mano all’odiato presidente solo dopo essersi “ravaneto” le parti basse per bene. Videla iniziò il giro per le congratulazioni fino a che non arrivò a Tarantini che togliendosi la mano dalle mutande strinse con vigore quella dell’attonito dittatore, mai banale “el conejo”.

Terminata la sbornia per la vittoria mondiale, Tarantini deve fare di nuovo i conti con la realtà e la realtà di quel periodo è che non c’è nessuna squadra in Argentina disposta ad assumerlo.
Il terzino deve ricomunicare tutto da capo e ancora una volta affronta le problematiche in un modo correndo senza freni, ancora di più.
Se ne va in Inghilterra al Birmingham City dove però questo suo atteggiamento non viene capito ne tantomeno apprezzato così l’avventura in terra d’Albione dura solo un anno.
Il mondiale spagnolo si avvicina e Tarantini pur di farsi rivedere in Argentina decide di accettare l’offerta di una piccola squadra della primera division il Talleres, così piccola da essere sfuggita alla fitta ragnatela tessuta dal presidente Armando per non farlo più giocare.
Poche partite fanno immediatamente capire che Tarantini non ha alcuna intenzione di mollare quel posto sulla sinistra che ,nella nazionale albiceleste, sente suo di diritto. Le sue prestazioni sono di livello straordinario quasi sovradimensionate rispetto alla realtà in cui gioca; è così che su di lui mette gli occhi niente poco di meno che il River Plate,la squadra più odiata dal Boca, che lo ingaggia nel 1980.
Ora la vendetta può essere consumata, ora “el conejo” può riguardare negli occhi il suo odiato avversario e fargli capire che per quanto possa averlo abbattuto e discriminato lui non ha mai avuto intenzione di arrendersi perché gli uomini veri, quelli che per tutta la vita hanno corso per battere le avversità non hanno altro modo di comportarsi.
L’occasione per la vendetta arriva immediatamente.

Due settimane dopo l’ingaggio si gioca il Superclasico tra River e Boca, per settimane si parla di Tarantini e del suo “tradimento” così l’allenatore del River, Labruna, decide di fare un test comunicando ad alcuni elementi della rosa la sua volontà di non schierare Tarantini.

Durante l’allenamento i compagni  riferiscono la decisione al terzino che non ci pensa due volte e corre come una bestia nello spogliatoio dell’allenatore, appendendolo al muro ed insultandolo.
Labruna al termine dello sfogo con il suo modo di fare sempre tranquillo e pacato dice:” guarda che la partita la giochi, volevo solo vedere quale sarebbe stata la tua reazione”.
Risultato: Boca 2- River 5 e Tarantini ovviamente tra i migliori.
Con il River arrivano anche delle importanti vittorie(un Metropolitano e un Nacional) oltre che una finale di Libertadores (persa) e la convocazione al fallimentare mondiale 1982.
La scarsa prestazione porta all’allontanamento di Menotti che però chiude con una perla lanciata un po’ così alla sua maniera.
Al termine dell’incontro col successore Bilardo, Menotti esclama una frase che la dice lunga sulla caratura tecnica e morale di Tarantini: ”Ti lascio in mano un’ottima squadra Tarantini più altri dieci”, uno “degli altri dieci” è un certo Diego Armando Maradona, davvero niente male come dichiarazione di stima.

La carriera con il River prosegue, quella con la nazionale si chiude con l’arrivo di Bilardo che ha un’impostazione molto più difensiva rispetto a quella di Menotti e che non ama i terzini indisciplinati come Tarantini.
Tarantini consumata la sua vendetta, decide di tornare in Europa per gli ultimi anni di carriera; disputa ottime stagioni in Francia con il Bastia e il Tolosa per poi chiudere in Svizzera con il San Gallo a trentaquattro anni.
L’interruzione di una carriera non è mai un momento facile per un giocatore, ancora di meno lo è per uno come Tarantini che a un terzo della sua vita ne ha già vissute tre di qualsiasi altro comune mortale. Quando hai giocato e affrontato la vita sempre a mille all’ora e dura chiedere al tuo corpo e soprattutto alla tua testa di fermarsi; bisogna trovare altri modi per ripartire e non sempre sono metodi positivi.
Una volta tornato in Argentina “el conejo” comincia a intraprendere uno stile di vita fuori da ogni logica: risse, cocaina e alcol gli procurano un sacco di problemi ed anche il pernottamento in qualche cella.
Nel fondo del baratro in cui è terminato solo una cosa può ritirarlo su, questa cosa è un sentimento che lo ha aiutato in ogni singolo momento della sua vita dagli inizi difficili, alla morte del padre: l’amore.
L’amore per la famiglia e l’amore per il calcio vengono sostituiti dall’amore per una donna, Adriana, che lo aiuta lentamente e con calma a riprendere una nuova vita.
Lentezza e calma, concetti che nella vita di Tarantini non erano mai stati presenti vengono ritrovati grazie a quella donna che gli salva l’esistenza.
Si sa, come diceva il grande Osvaldo Soriano, il calcio ha le sue ragioni misteriose che la ragione non conosce così Tarantini viene di nuovo fatalmente attratto da quella palla che ha significato tutto nella sua vita. Comincia ad allenare alcune selezioni giovanili e dopo qualche tempo viene ingaggiato come telecronista del campionato argentino per il programma “fotbal para todos”.
Il Tarantini telecronista è la fotocopia del Tarantini calciatore.

Diretto, senza peli sulla lingua e con un ritmo anche nel racconto della partita nettamente superiore a quello degli altri colleghi.
D’altronde andare veloce è sempre stata una sua prerogativa perché forse per alcune persone è quello l’unico modo per stare in equilibrio sul filo della vita e anche perché ,citando Bruce Springsteen,

“i vagabondi come noi Baby, sono nati per correre.”

tarantini

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